Nata dal desiderio di costruire un percorso polifonico e dalla volontà di unire al filo sottile del fare il fragile o quantomeno irrequieto flusso del pensiero (in formazione come qualsivoglia atto calibrativo della natura umana incline alla creatività), il cantiere per un affresco organizzato dalle nove jeunes artistes che compongono questo progetto espositivo rappresenta un momento di indispensabile aggregazione tra menti, tra discorsi nati nell’ambito di ricerche accademiche ma il cui volto salta il fosso dell’accademismo fossilizzante per immettersi in circuiti la cui ambizione è quella di generare mondi, di costruire dispositivi, di aprire una breccia – magari anche solo immaginifica – nell’Art World o quantomeno nel tessuto della vita vera. L’utilizzo di ogni codice dato (dalla fotografia alla pittura, dal collage al video, dalla scultura alla performance o alla installazione) trasforma a primo acchito questa esposizione in un organismo multilinguistico che se da una parte dimostra le interferenze proprie dell’arte tra mondi diversi che si contaminano, dall’altra evidenzia la volontà di attuare una manovra unificante il cui collante è la partecipazione tra le parti, utili a comporre l’insieme. Oggi singola opera di questa mostra è infatti non solo un satellite a sé (e in altro termini un’opera generata dalla personalità della singola artista), ma anche parte di una macchina estetica totale e totalizzante che nasce sotto il segno della mostra intesa come racconto e raccordo identitario. Gli scultogioielli di Daria Carpineti che vogliono essere indossati per dar luogo a un dialogo serrato con il corpo che gli indossa e dai quali è inevitabilmente modificato, i light-box realizzati da Lizzie e sui quali sfilano immagini strappate al territorio rapper e alla cultura hip pop,lo spazio surreale di Giorgia Mascitti che mediante la pittura a olio e il collage elabora discorsi sulle masse silenziose. Il progetto pungente offerto da Alessia Galassi in cui è percettibile la devitalizzazione del quotidiano controllo totale che nasce in seno al gioco (acquavite di Napoli, a detta di Matilde Serao), le installazioni di Sofia Solustri nelle cui pitture è visibile una massa che ha preso il sopravvento e si è liquefatta in una profonda indifferenza, la pittura di Irene Pantella – e basta quel suo 7.40 (2016) per percepirne la forza – che si insinua tra le convenzioni (tra le convinzioni) sociali, le stesure cromatiche – fluide e erotiche – proposte da Erica Ortelli che rileggono la matrice informale, i corpi vivacemente realistici che la pittura di Eleftheria Eleftheriou mette in campo per tracciare una piccola storia della pittura e approdare alla figura di Kandínskiy o le combinazioni matericoniriche di He Cong Min che sembra richiamare alla memoria alcuni stratagemmi di Enrico Baj, sono procedimenti di un singolo che si volge verso il collettivo: anelli di una catena dunque, di un programma dove ogni lavoro sostiene e irrobustisce anche quello più discutibile per dar luogo a una fabula comune, a una efficace preparazione strategica, a una favorevole congiuntura, a un intreccio di esistenze, a un organismo pulsante, squisitamente unitario. Harbin, 25 aprile 2019 Cantiere per un affresco è il lavoro a più voci e a più mani che, in massima libertà, le nove jeunes artistes stanno realizzando nell’ambito del progetto di ricerca organizzato dall’amico e collega Pierpaolo Marcaccio (cattedra di Decorazione,