— I manifesti esposti sono la punta dell’iceberg del progetto didattico centrale affrontato dagli studenti del terzo anno del corso di Graphic design dell’Accademia di Belle Arti di Macerata, durante l’AA 2018 — 2019. Il lavoro è consistito nella definizione dell’identità visiva per un festival (solo immaginato) incentrato sull’approfondimento delle culture undergroud del Giappone. Abbiamo ristretto il campo della riflessione su alcuni ambiti specifici come le arti visive, la fotografia, il cinema, il teatro, la danza e il fumetto, in particolare il periodo a cavallo tra il 1960 e 1970 nel quale il Giappone post bellico si consolida come superpotenza economica mondiale ma, allo stesso tempo, comincia a rivelare delle fratture interne alla società. Queste crepe sono provocate da una nuova generazione di cittadini attivi nella contestazione politica che non si ritrovano nei valori tradizionali incarnati dalle loro famiglie e, al contempo, non vogliono aderire acriticamente alla spinta capitalistica e filo-occidentale dettata dalle istituzioni. Ne nasce un periodo di eccessi, tra ribellismo, edonismo, sperimentazione, e messa in discussione di ogni estetica preesistente combattuta sia con scelte d’avanguardia, sia attraverso la reinterpretazione dei modelli classici giapponesi pericolosamente mischiati dalle forti influenze pop americane. Questo percorso ci ha portato, inevitabilmente, a confrontarci con il racconto della vita notturna fatto da Araky e Moriyama, con le eccentriche performace dei piccoli teatri di rottura e il cinema sperimentale incarnato principalmente dal regista-icona Shuji Terayama, dalla narrativa a fumetti dai toni drammatici e onirici della rivista Garo, che, grazie ai suoi autori dalle esistenze tragiche riplasma un medium pensato solo per bambini trasformandolo in letteratura. A chiudere il tutto, come nel cerchio rosso perfetto della bandiera, il graphic design, che da disciplina di progetto magistralmente padroneggiata dai maestri giapponesi diventa a sua volta linguaggio artistico, espressivo, per dare una forma a tutte queste energie dirompenti e per mettere in crisi, a sua volta, i dogmi ormai monolitici del modernismo. — Luigi Raffaelli